Liberamente tratto da:

LA PROGETTAZIONE DI NUOVE CHIESE                                                                           Nota Pastorale                                                                                                   Commissione Episcopale per la Liturgia                                                                       Roma, 18 febbraio 1993

 

PRESENTAZIONE

La costruzione di nuove chiese è un problema sempre attuale per la comunità cristiana. Lo è soprattutto in questo tempo in cui le forme e le funzioni dello spazio liturgico chiedono di essere ripensate in base alla riforma voluta dal Concilio Vaticano II e al cammino di fede delle comunità che celebrano il Mistero di Cristo.

            La Chiesa italiana, erede di un impareggiabile tesoro di tradizioni architettoniche, intende non solo conservare le testimonianze del passato, ma vuole accogliere anche le migliori proposte dell’arte contemporanea che si pongano al servizio del culto.

Nella ricerca di un autentico rinnovamento in questo campo, molte diocesi hanno già promosso attività diverse di riflessione e di intervento. Numerosi centri di studio ed esperti delle varie discipline, mediante pubblicazioni monografiche o periodiche, si sono impegnati ad approfondire le linee di forza per una architettura sensibile alle esigenze dell’assemblea che celebra. La normativa liturgica si è gradualmente arricchita e precisata nella pubblicazione dei principali documenti per la celebrazione. Fare sintesi di tutti gli apporti non è cosa facile, né questo è lo scopo della presente Nota.

            Tuttavia, una convinzione deve stare alla base di ogni progetto: per l’ideazione e la costruzione di nuove chiese è necessario l’impegno coordinato di tutte le componenti ecclesiali, ciascuna per la propria parte.

            Allo scopo di favorire questo interscambio, la Commissione Episcopale per la liturgia, in collaborazione con la Commissione della CEI per l’edilizia di culto e la Consulta nazionale per i beni culturali ecclesiastici, ha elaborato la presente Nota e, con l’approvazione del Consiglio Permanente della CEI, la affida ai Vescovi e alle loro comunità diocesane, perché ogni nuova chiesa-edificio sia «segno della Chiesa pellegrina sulla terra e immagine della Chiesa già beata nel cielo» (Pontificale Romano, Dedicazione di una chiesa, Premesse n. 28).

Roma, 18 febbraio 1993

Luca Brandolini

Presidente della Commissione Episcopale per la Liturgia

 

 

 

PREMESSA

 

            La presente Nota intende costituire un riferimento e uno stimolo al dialogo fra committenti (pastori, liturgisti, popolo di Dio) e progettisti (architetti, artisti, artigiani e tecnici) che deve iniziare nella fase stessa dell’ideazione e configurazione di un nuovo spazio sacro, e svilupparsi nella fase successiva del suo arredo e della sua utilizzazione.

            Queste indicazioni, pur riguardando le nuove chiese parrocchiali, possono rivestire una loro esemplarità di fondo anche per le chiese non parrocchiali, quali i santuari, le chiese conventuali, le cappelle di ospedali, di case di esercizi, i cimiteri ecc.

            La Nota vuole anche porsi come riferimento normativo per la valutazione dei progetti ai fini di un esito positivo e dell’eventuale finanziamento previsto dalla CEI. Non si mira dunque ad esaurire la trattazione di una materia tanto ricca e complessa, ma soltanto a riunire alcune essenziali indicazioni pratiche in vista della progettazione.

            Poiché qui ci si attiene a orientamenti di carattere generale, per gli ulteriori aspetti riguardanti l’edilizia di culto e le altre strutture di servizio religioso, i committenti e i progettisti sono rinviati alla normativa della CEI e alle opportune precisazioni elaborate in sede locale.

            Vengono così dichiarati gli obiettivi e i limiti di questo documento ricapitolativo e integrativo dei principi e delle norme già riportate nei libri liturgici.

            Infine, mentre si ispira fondamentalmente, talvolta citandoli alla lettera, ai documenti ufficiali (i cui passi più rilevanti vengono riportati per esteso in appendice), questa Nota è uno strumento per la mediazione dei loro contenuti e per la loro più ampia divulgazione.

 

 

 

Parte prima

 

LA CHIESA COME CASA DEL POPOLO CELEBRANTE

 

  1. A) Significato liturgico della chiesa
  1. Spazio architettonico e celebrazione cristiana

Il luogo nel quale si riunisce la comunità cristiana per ascoltare la parola di Dio, per innalzare a lui preghiere di intercessione e di lode e soprattutto per celebrare i santi misteri, è immagine speciale della chiesa, tempio di Dio, edificato con pietre vive. Così l’edificio di culto cristiano corrisponde alla comprensione che la chiesa, popolo di Dio, ha di se stessa nel tempo: le sue forme concrete, nel variare delle epoche, sono immagine relativa di questa autocomprensione. Pertanto, la progettazione e la costruzione di una nuova chiesa richiedono, innanzitutto, che la comunità locale si sforzi di attuare il progetto ecclesiologico-liturgico scaturito dal concilio Vaticano II che, in sintesi, esprime due convinzioni:

– la chiesa è mistero di comunione e popolo di Dio pellegrinante verso la Gerusalemme celeste);

– la liturgia è azione salvifica di Gesù Cristo, celebrata nello Spirito, dall’assemblea ecclesiale, ministerialmente strutturata, attraverso l’efficacia di segni sensibili.

 

  1. La chiesa come edificio, immagine della chiesa, popolo di Dio

 

La realtà della chiesa nella sua profondità misterico-sacramentale si esprime nell’immagine storico-salvifica del «popolo di Dio» e si manifesta in modo speciale nell’assemblea liturgica, soggetto della celebrazione cristiana.

Infatti Gesù Cristo, Verbo incarnato, sacramento del Padre, partecipa per mezzo dello Spirito la sua mediazione salvifica al popolo profetico, sacerdotale e regale, la cui ragion d’essere è l’annuncio, la lode, il servizio.

Per questo lo spazio liturgico, sia durante che al di fuori della celebrazione, con una sua specifica modalità interpreta ed esprime simbolicamente l’economia della salvezza dell’uomo, divenendo visibile profezia dell’universo redento, non più sottomesso alla «caducità», ma riportato alla bellezza e all’integrità.

 

  1. La promozione di una nuova comunità ecclesiale locale

 

Costruire una chiesa «di pietre» esprime una sorta di radicamento della chiesa «di persone» nel territorio (plantatio ecclesiae), il che esige un discernimento della comunità a cui il nuovo edifico è destinato.

Questo discernimento, a partire dai problemi della nostra società complessa e dall’attenzione alla cultura locale, procede per gradi al fine di approdare, sia pure faticosamente, ad un esito maturo.

Costruire una nuova chiesa è operazione pastorale articolata, nei suoi attori, ma ancor prima nel processo che la giustifica come immagine di una comunità viva e operante, guidata nel suo cammino storico da profonde leggi teologiche e culturali.

 

 

  1. Un progetto culturale, pastorale ed ecclesiale

 

Non si può partire dalla chiesa considerata solo come opera muraria. Prima ci si deve porre di fronte ai soggetti per i quali sarà edificata e al Soggetto divino a cui è riferita. Il che vuol dire individuare un gruppo umano che abbia una sua autonomia «territoriale», farsi carico delle sue attese, corrispondere alle sue istanze, condividere la sua crescita di fede.

Solo così si potrà indirizzare a un preciso interlocutore l’annuncio cristiano e promuovere un itinerario che conduca alla risposta di fede, sino alla delineazione di una sede degna – l’edificio chiesa – capace di esprimere simbolicamente il mistero che edifica il popolo di Dio.

 

 

  1. La nuova chiesa e la comunità diocesana

 

La costruzione di una nuova chiesa per una parrocchia presuppone e invoca la sensibilità di una «chiesa madre». È la comunità diocesana che, sotto la guida del vescovo, pastore e maestro, con i suoi carismi e ministeri e tramite le sue strutture si incarna nella realtà locale, per crearvi uno spazio di accoglienza, dove la fede suscitata dall’annuncio trovi il suo sigillo sacramentale, e la comunità una più precisa identità ecclesiale e una consapevole apertura alla missione. Ne deriva un profondo legame spirituale tra l’edificio parrocchiale di culto e la chiesa cattedrale, sede del magistero episcopale e segno di unità della diocesi.

Una comunità diocesana non può gestire la costruzione di una nuova chiesa come fatto soltanto burocratico-amministrativo. Deve pensarla come «casa del popolo di Dio», che in essa si raduna per esprimere il suo statuto battesimale, crismale, eucaristico. Il popolo di Dio, in essa, deve trovare in qualche modo rispecchiata la propria identità.

 

 

  1. La chiesa nel contesto urbano

 

Lo spazio interno di una chiesa ha certamente un’importanza prioritaria, dal momento che esso trascrive architettonicamente il mistero della chiesa-popolo di Dio, pellegrino sulla terra e immagine della chiesa nella sua pienezza.

D’altra parte, una valida e concreta interpretazione dei rapporti interno-esterno ed edificio-contesto costituisce una delle acquisizioni più importanti della coscienza critica dell’architettura contemporanea.

Il rapporto tra chiesa e quartiere ha valore qualificante rispetto ad un ambiente urbano non di rado anonimo, che acquista fisionomia (e spesso anche denominazione) tramite questa presenza, capace di orientare e organizzare gli spazi esterni circostanti ed essere segno dell’istanza divina in mezzo agli uomini. Ciò significa che il complesso parrocchiale deve essere messo in relazione ed entrare in dialogo con il resto del territorio, deve anzi arricchirlo.

 

 

  1. B) Il progetto degli spazi interni

 

  1. Unità e articolazione dell’aula liturgica

 

La disposizione generale di una chiesa deve rendere l’immagine di un’assemblea riunita per la celebrazione dei santi misteri, gerarchicamente ordinata e articolata nei diversi ministeri, in modo da favorire il regolare svolgimento dei riti e l’attiva partecipazione di tutto il popolo di Dio.

Per natura e tradizione lo spazio interno della chiesa è dunque studiato per esprimere e favorire in tutto la comunione dell’assemblea, che è il soggetto celebrante. L’ambiente interno, dal quale deve sempre partire la progettazione, sarà orientato verso il centro dell’azione liturgica e scandito secondo una dinamica che parte dall’atrio, si sviluppa nell’aula e si conclude nel «presbiterio», quali spazi articolati ma non separati.

Tale spazio è in primo luogo progettato per la celebrazione dell’eucaristia; per questo è richiesta una centralità non tanto geometrica, quanto focale dell’area presbiteriale, adeguatamente elevata, o comunque distinta, rispetto all’aula.

Del resto, lo spazio deve rendere possibile l’organico e ordinato sviluppo, oltre che della messa, anche degli altri Sacramenti (battesimo, confermazione, penitenza, unzione degli infermi, ordinazione, matrimonio) e sacramentali (funerali, liturgia delle ore, benedizioni ecc.), con il margine di adattabilità che la prassi pastorale può esigere.

Inoltre, i sistemi fissi di accesso e i percorsi per la circolazione interna, come pure la disposizione dell’arredo e della suppellettile mobile (banchi, sedie) della zona dei fedeli devono facilitare i vari movimenti processionali e gli spostamenti previsti dalle celebrazioni liturgiche nonché l’agevole superamento delle barriere architettoniche.

Per prima cosa, nella chiesa vanno sottolineate le grandi presenze simboliche permanenti: l’altare, l’ambone e il battistero e il fonte battesimale; seguono poi il luogo della penitenza, la custodia eucaristica e la sede del presidente. Unitamente a queste, sono da progettare gli spazi per i fedeli, per il coro e l’organo e la collocazione delle immagini.

 

 

  1. L’altare

 

L’altare è il punto centrale per tutti i fedeli, è il polo della comunità che celebra. Non è un semplice arredo, ma il segno permanente del Cristo sacerdote e vittima, è mensa del sacrificio e del convito pasquale che il Padre imbandisce per i figli nella casa comune, sorgente e segno di unità e carità.

Dovrà pertanto essere ben visibile e veramente degno; a partire da esso e attorno ad esso dovranno essere pensati e disposti i diversi spazi significativi.

Sia unico e collocato nell’area presbiteriale, rivolto al popolo e praticabile tutto all’intorno.

Si ricordi che, pur proporzionato all’area presbiteriale in cui è situato, l’altare assicura la funzione di «focalità» dello spazio liturgico solo se è di dimensioni contenute. L’altezza del piano della mensa sia di circa 90 cm rispetto al pavimento, per facilitare il compito dei ministri che vi devono svolgere i propri ruoli celebrativi. Sull’altare non si devono collocare né statue né immagini di santi. Durante la dedicazione si può riporre un cofano con reliquie autentiche di martiri o altri santi, non inserendole nella mensa, ma sotto di essa.

Secondo l’uso tradizionale e il simbolismo biblico, la mensa dell’altare fisso sia preferibilmente di pietra naturale.

Tuttavia, per la mensa, come pure per gli stipiti e la base che la sostiene, si possono usare anche altri materiali, a patto che siano convenienti per la qualità e la funzionalità all’uso liturgico.

  1. L’ambone

È il luogo proprio della parola di Dio. La sua forma sia correlata all’altare, senza tuttavia interferire con la priorità di esso; la sua ubicazione sia pensata in prossimità all’assemblea (anche non all’interno del presbiterio, come testimonia la tradizione liturgica) e renda possibile la processione con l’Evangeliario e la proclamazione pasquale della Parola. Sia conveniente per dignità e funzionalità, disposto in modo tale che i ministri che lo usano possano essere visti e ascoltati dall’assemblea.

Un leggio qualunque non basta: ciò che si richiede è una nobile ed elevata tribuna possibilmente fissa, che costituisca una presenza eloquente, capace di far riecheggiare la Parola anche quando non c’è nessuno che la sta proclamando.

Accanto all’ambone può essere collocato il grande candelabro per il cero pasquale.

  1. La sede del presidente

La sede esprime la distinzione del ministero di colui che guida e presiede la celebrazione nella persona di Cristo, capo e pastore della sua chiesa. Per collocazione sia ben visibile a tutti, in modo da consentire la guida della preghiera, il dialogo e l’animazione. Essa deve designare il presidente non solo come capo, ma anche come parte integrante dell’assemblea: per questo dovrà essere in diretta comunicazione con l’assemblea dei fedeli, pur restando abitualmente collocata in presbiterio.

Si ricordi però che non è la cattedra del vescovo, e che comunque non è un trono. La sede è unica e può essere dotata di un apposito leggio a servizio di chi presiede.

Si preveda inoltre la disponibilità di altri posti destinati ai concelebranti, al diacono e agli altri ministri e ai ministranti.

Non si trascuri di progettare un luogo accessibile e discreto per la credenza.

 

 

  1. Il battistero e il fonte battesimale

 

Nel progetto di una chiesa parrocchiale è indispensabile prevedere il luogo del battesimo (battistero distinto dall’aula o semplice fonte collegato all’aula).

Sia decoroso e significativo, riservato esclusivamente alla celebrazione del sacramento, visibile dall’assemblea, di capienza adeguata. Il fonte sia predisposto in modo tale che vi si possa svolgere, secondo le norme liturgiche, anche la celebrazione del battesimo per immersione.

Si tenga presente che il rito del battesimo si articola in luoghi distinti, con i relativi «percorsi» che devono essere tutti agevolmente praticabili.

In ogni caso, non è possibile accettare l’identificazione dello spazio e del fonte battesimale con l’area presbiteriale o con parte di essa, né con un sito riservato ai posti dei fedeli.

 

 

  1. Il luogo e la sede per la celebrazione del sacramento della penitenza

 

La celebrazione del sacramento della penitenza richiede un luogo specifico (penitenzieria) o una sede che metta in evidenza il valore del sacramento per la sua dimensione comunitaria e per la connessione con l’aula della celebrazione dell’eucaristia; deve inoltre favorire la dinamica dialogica tra penitente e ministro, con il necessario riserbo richiesto dalla celebrazione in forma individuale.

Perciò la sede sia progettata contestualmente a tutto l’edificio e si realizzi scegliendo soluzioni dignitose, sobrie e accoglienti.

 

 

  1. La custodia eucaristica

 

Il santissimo sacramento venga custodito in un luogo architettonico veramente importante, normalmente distinto dalla navata della chiesa, adatto all’adorazione e alla preghiera soprattutto personale.

Ciò è motivato dalla necessità di non proporre simultaneamente il segno della presenza sacramentale e la celebrazione eucaristica.

Il tabernacolo sia unico, inamovibile e solido, non trasparente e inviolabile. Non si trascuri di collocarvi accanto il luogo per la lampada dalla fiamma perenne, quale segno di onore reso al Signore.

 

 

  1. I posti dei fedeli

 

La collocazione dei posti per i fedeli sia curata in modo particolare mettendo a disposizione banchi e sedie perché ciascuno possa partecipare con l’atteggiamento, con lo sguardo, con l’ascolto e con lo spirito alle diverse parti della celebrazione.

 

 

  1. Il posto del coro e dell’organo

 

Il coro fa parte dell’assemblea e deve essere collocato nell’aula dei fedeli; deve comunque trovarsi in posizione e con arredo tali da permettere ai suoi membri l’adempimento del compito proprio, la partecipazione alle azioni liturgiche e la guida del canto dell’assemblea.

Per ragioni foniche e funzionali, la collocazione dell’organo a canne sia studiata e progettata attentamente fin dall’inizio, tenendo conto del suo naturale collegamento con il coro e con l’assemblea.

 

 

  1. Il programma iconografico

 

Il programma iconografico, che a suo modo prolunga e descrive il mistero celebrato in relazione alla storia della salvezza e all’assemblea, deve essere adeguatamente previsto fin dall’inizio della progettazione. Va pertanto ideato secondo le esigenze liturgiche e culturali locali, e in collaborazione organica con il progettista dell’opera, senza trascurare l’apporto dell’artista, dell’artigiano e dell’arredatore.

Anche la croce, l’immagine della beata Vergine Maria, del patrono e altre eventuali immagini (ad esempio, il percorso della via crucis normalmente situato in luogo distinto dall’aula), devono essere pensate fin dall’inizio nella loro collocazione, favorendo sempre l’elevata qualità e dignità artistica delle opere. Ciò contribuisce a promuovere l’ordinata devozione del popolo di Dio, a condizione di rispettare la priorità dei segni sacramentali.

È bene conservare l’antica consuetudine di collocare dodici o almeno quattro croci di pietra, di bronzo o di altra materia adatta sulle pareti in corrispondenza con il luogo delle unzioni di dedicazione.

 

 

  1. La cappella feriale

 

Si preveda di norma una cappella distinta dalla navata centrale e adeguatamente arredata per la celebrazione con piccoli gruppi di fedeli. Essa può identificarsi con la cappella per la custodia del santissimo sacramento, nella quale l’altare deve comunque essere distinto dal tabernacolo.

 

 

  1. L’arredo

 

Circa l’arredo della chiesa, occorre ricordare innanzitutto che non si tratta di un generico abbellimento estrinseco né di oggetti di carattere puramente utilitaristico, ma di suppellettili pienamente funzionali che vanno attentamente progettate perché siano armonicamente connesse con l’insieme dell’edificio. Nella scelta degli elementi per l’arredamento si abbia di mira una nobile semplicità piuttosto che il fasto, si curi la verità delle cose e si tenda all’educazione dei fedeli e alla dignità di tutto il luogo sacro (cf. PNMR 279).

L’orientamento di base per la cura dell’arredo è dunque quello dell’autenticità delle forme, dei materiali e della destinazione dei mobili e degli oggetti. Ciò vale in particolare per la scelta e l’uso di elementi naturali come ad esempio i fiori e le piante, la cera e il legno. Quanto all’arredo floreale, può essere opportuno progettare una o più fioriere nell’area presbiteriale, non solo per l’effetto di ordine, ma per l’uso liturgico nei tempi e nei modi consentiti.

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Al primario criterio della verità, sia unito il criterio della sobrietà, quello della coerenza estetica con l’insieme dell’edificio e il criterio della valorizzazione della creazione artistica, ricordando che è pure consentito il ricorso a nuovi materiali, oltre a quelli tradizionali.

Nell’utilizzo delle suppellettili antiche, che pure è largamente raccomandabile, si abbia cura di rispettarne rigorosamente l’identità culturale, storica e artistica, evitando arbitrarie e incongrue modifiche.

 

 

 

  1. C) I luoghi sussidiari annessi alla chiesa

 

  1. La sacrestia

 

La sacrestia deve essere un ambiente decoroso, sufficientemente ampio, arredato non solo per accogliere celebranti e ministri, ma anche per la conservazione dei libri, delle vesti e dell’arredo liturgico e dotato di altri supporti necessari (servizi igienici, anche per i fedeli).

Si preveda un deposito per gli oggetti e strumenti vari e un locale opportunamente attrezzato per la preparazione dell’addobbo floreale. Accanto alla sacrestia potrebbe essere previsto un luogo per il «colloquio» fra sacerdoti e fedeli, così da favorire la necessaria riservatezza.

La porta di accesso sia possibilmente duplice: una direttamente verso l’area presbiteriale e l’altra verso l’aula assembleare, per favorire in particolare lo svolgimento delle processioni d’ingresso e di rientro dalla celebrazione.

 

 

  1. Il sagrato

 

È questa un’area molto importante da prevedere in quanto capace di esprimere valori significativi: quello della «soglia», dell’accoglienza e del rinvio; per questo, si può anche prevedere che sia dotato di un porticato o di elementi similari. Talvolta può essere anche luogo di celebrazione, il che richiede che il sagrato sia riservato ad uso esclusivamente pedonale. Deve tuttavia mantenere la sua funzione di tramite e di filtro (non di barriera) nel rapporto con il contesto urbano.

 

 

  1. L’atrio e la porta

 

All’aula liturgica si accede attraverso un atrio e una porta d’ingresso. Mentre l’atrio è spazio significativo dell’accoglienza materna della chiesa, la porta è l’elemento significativo del Cristo, «porta» del gregge.

È a questi valori che va ricondotto l’eventuale programma iconografico della porta centrale. Le dimensioni dell’ingresso siano proporzionate non solo alla capienza dell’aula, ma anche alle esigenze di passaggio delle processioni solenni. Si conservi l’uso di collocare le acquasantiere presso l’ingresso, quale richiamo battesimale per chi entra.

Essendo questi spazi usati spesso anche per esporre le informazioni murali (manifesti), occorre studiare in essi arredi mobili adatti per questa funzione.

 

 

  1. Campanile e campane

 

Il campanile non deve essere escluso dalla progettazione; come elemento architettonico, e non solo come supporto per le campane, può costituire un qualificante componente di riconoscibilità dell’edificio religioso. Per dimensioni e per struttura sia però tale da non richiedere un troppo forte investimento finanziario.

Nella progettazione, si prevedano la collocazione e l’uso delle campane per la loro tradizionale funzione di richiamo, di festa e comunicazione sonora; si escludano invece le «trombe» acustiche.

 

 

  1. D) Edifici per il servizio pastorale e casa parrocchiale

 

  1. Questi ambienti siano dignitosi, di stile sobrio ed essenziale, capaci di assolvere la loro funzione di abitazione, accoglienza e ospitalità per la missione della chiesa. Si abbia cura che le attività in esse previste non costituiscano fattore di intralcio visivo o acustico per l’aula liturgica.

 

Parte seconda

 

 

 

IL CANTIERE DELLA CHIESA

 

 

 

  1. A) Le condizioni del progetto

 

  1. La riconoscibilità della chiesa

 

Nella fase di ideazione di una chiesa, insieme a quella delle altre costruzioni ad essa collegate (ad es. le opere pastorali), si fanno evidenti due esigenze prioritarie:

la progettazione globale dell’area in cui la chiesa, pur dialogando con essi, non si deve confondere con gli altri edifici;

la riconoscibilità dell’edificio per il culto, che va assicurata non tanto attraverso segni aggiuntivi (insegne, luci, scritte), ma, nei limiti del possibile, attraverso adeguate pause architettoniche (sagrato, giardino, cortile), contenenti elementi evocativi che orientino tematicamente e plasticamente allo spazio ecclesiale, senza attardarsi dietro scenografie o allegorismi discutibili.

Al riguardo un’attenta ricognizione storico-architettonica può offrire spunti e suggestioni da tener presenti, senza limitare la ricerca creativa di nuove soluzioni.

 

 

  1. Committenti e progettisti

 

Si assicuri un effettivo dialogo dei committenti con i progettisti in modo che da questa stretta collaborazione, nel rispetto delle competenze di ciascuno, il progetto possa valorizzare pienamente la tradizione architettonica ecclesiale e locale.

 

 

  1. Il dimensionamento della chiesa

 

Si eviti la ricerca forzata della monumentalità e il ricorso alla mera esibizione strutturale.

La capienza dell’aula liturgica, più che alla popolazione parrocchiale, deve essere commisurata alle esigenze della celebrazione.

Un’assemblea è in grado di celebrare in modo adeguato ed efficace se non supera una dimensione funzionale (500 persone circa, secondo i dati dell’esperienza).

 

 

  1. B) La comunità e la progettazione

 

  1. Soggetti, modi e tempi della progettazione

 

Progettare una nuova chiesa significa dare spazio adeguato al progetto pastorale e culturale di una comunità religiosa, che si pone a servizio degli uomini presenti sul territorio, per annunciarvi la Parola, celebrare l’eucaristia e testimoniare la carità.

Diversi sono i soggetti, i modi di partecipazione e i tempi dell’iter progettuale.

 

La diocesi opera tramite l’ufficio liturgico (per la consulenza specifica), la commissione per l’arte sacra (per la valutazione del progetto), il comitato nuove chiese (con i necessari supporti di indole diversa), il consiglio per gli affari economici (per la verifica dei piani finanziari), i tecnici.

 

La parrocchia opera tramite il parroco, il consiglio pastorale, il consiglio per gli affari economici, i fedeli, i tecnici.

 

Il progettista è persona di particolare qualificazione già a livello di pratica professionale, ma deve mostrarsi specificamente sensibile ai valori teologico-liturgici che l’edificio dovrà rappresentare. L’incarico sia dato dal vescovo, sentita la comunità locale.

I rapporti professionali devono essere conformi alla prassi consueta. L’offerta di una prestazione gratuita non è criterio sufficiente per l’affidamento dell’incarico.

 

L’iter progettuale prevede che il progetto sia esaminato e approvato dal vescovo, tramite la commissione diocesana, nel momento della sua formulazione di massima, e poi di progettazione completa. Le osservazioni e indicazioni al progettista vanno date, tramite l’ufficio liturgico, dal vescovo che rimane in contatto e interazione con il parroco.

 

I tempi dell’iter: è previsto il tempo della sensibilizzazione e della consultazione dei fedeli, e quello dell’elaborazione e della discussione del progetto (in linea di massima e poi in fase esecutiva), anche in rapporto al piano di finanziamento intermedio e consuntivo.

 

 

  1. C) I problemi tecnici e gestionali

 

  1. Attenzioni di carattere generale

 

Dal momento che nella progettazione dell’edificio ecclesiale si tende spesso a privilegiare l’aspetto estetico nei confronti delle componenti tecnologiche, si auspica l’interdisciplinarità già nella fase progettuale.

A tal proposito, è bene ricordare che i problemi tecnici dei grandi spazi sono più ardui da affrontare di quelli degli spazi minori.

Il progetto deve essere completo in ogni parte, in modo che l’edificio-chiesa comprenda già tutto nella sua struttura. In particolare, il progetto di una nuova chiesa deve contenere indicazioni complete anche per quanto riguarda gli impianti. Occorre rispettare la normativa civile prevista per gli edifici pubblici (come l’abbattimento delle barriere architettoniche con l’inserimento di rampe adeguate, la sicurezza impiantistica, il sistema di allontanamento delle acque meteoriche ecc.) assicurando il contenimento del consumo energetico, la semplicità gestionale e il ridotto costo manutentivo.

È fattore di capitale importanza l’attenta valutazione dei preventivi di spesa e la scelta dell’impresa a cui affidare l’esecuzione del progetto, evitando pericolosi giochi al ribasso. È necessaria un’approfondita analisi dell’aspetto tecnico-economico dell’opera, con particolare riferimento alla valutazione dei singoli lavori con relativi oneri, anche per giungere a una corretta ed esauriente individuazione del costo dell’opera ed evitare sgradevoli sorprese in fase esecutiva.

 

 

  1. La scelta dei materiali

 

Al fine di garantire la durata dell’edificio e per il rispetto dovuto a quanto i fedeli hanno offerto con generosità, si scelgano materiali tradizionali, sperimentati, durevoli, noti per le loro caratteristiche, evitando sperimentazioni e tecniche inedite che comportano rilevanti spese di manutenzione nel breve periodo.

In proposito, si ricorda che il cemento armato a vista crea seri problemi se non viene eseguito con particolare cura.

 

 

  1. Illuminazione

 

In un’attenta progettazione, la luce naturale concorre nell’architettura ad assicurare rilevanti effetti estetici, ma deve consentire anche i giusti livelli di luminosità funzionale, sia per l’assemblea sia per lo spazio presbiteriale e altri spazi, in modo che nelle ore diurne non si debba fare che un limitato uso di altre fonti di luce. La luce artificiale dovrebbe rispecchiare il più possibile le funzioni della luce naturale.

Fatta salva l’esigenza delle luci di servizio, delle luci di emergenza, delle spie luminose per le norme di sicurezza, il quadro elettrico sia ubicato in sacrestia e qui facciano capo i comandi di tutti i circuiti della chiesa.

Assicurate le esigenze fondamentali di luminosità (come del resto anche quelle termiche e di aerazione), occorre che vengano precisate le possibilità di soddisfare le richieste liturgiche più frequenti della comunità (liturgie eucaristiche feriali, festive, celebrazioni sacramentali non eucaristiche, momenti dell’anno liturgico ecc.), ma anche garantite le condizioni per affrontare eventi più rari e straordinari (ad es. veglie di preghiera, rappresentazioni sacre ecc.).

 

 

  1. Climatizzazione

 

Per l’aula liturgica e i locali annessi è necessario assicurare un ricambio naturale d’aria, facilitando l’apertura e la chiusura degli infissi.

Va comunque garantito un accurato controllo affinché non vi siano fonti localizzate di condensa.

Pur non essendo necessari impianti di riscaldamento sofisticati, data la breve permanenza dell’assemblea, tuttavia è bene assicurare una soddisfacente climatizzazione, evitando correnti d’aria, rumorosità e negativi impatti estetici. A tal fine, si cureranno le apposite bussole per le porte d’ingresso.

Per tutto il complesso vanno poi previste non solo le parzializzazioni a circuiti separati, a seconda dei periodi di funzionamento, ma anche l’isolamento tra le singole parti parcellizzate.

Per la tempestiva utilizzazione dell’impianto termico occorrono comandi centralizzati, con possibilità di comando a distanza.

 

 

  1. Acustica

 

Nella progettazione di una nuova chiesa a livello strutturale, di forma e di qualità di materiali si tengano presenti le regole fondamentali che garantiscano in genere un risultato acustico accettabile.

È importante ricordare che eventuali vizi d’origine sono difficilmente rimediabili con l’impianto di amplificazione.

È bene evitare di costruire una nuova chiesa in zone acusticamente disturbate. In presenza di rumorosità persistente, occorre tener presente la necessità dell’isolamento acustico dall’esterno (doppie porte, doppi vetri ecc.).

Gli impianti di diffusione acustica dovrebbero essere a servizio delle aree celebrative sia come sorgente che come apparati diffusori. Per questo gli altoparlanti siano collocati con particolare cura in modo da servire tutti gli spazi dell’edificio.

Per quanto riguarda l’organo a canne, la resa dello strumento è condizionata dall’ubicazione e dal tipo di struttura che racchiude il complesso delle canne (cappella o nicchia). Una buona sonorità dipende da una struttura che faccia da cassa di risonanza e nello stesso tempo permetta al suono di espandersi. I progettisti prendano coscienza di questa tematica, anche per sollecitare i committenti a chiedere verifiche in tal senso fin dall’inizio della progettazione. Lo spazio ideale per l’organo e gli altri strumenti musicali, come pure quello del coro è una postazione intermedia fra l’assemblea e il presbiterio. Le soluzioni concrete andranno cercate in rapporto sia al tipo di organo scelto sia alla configurazione dell’aula.

Particolare cura deve essere dedicata, quando occorra, alla sonorizzazione del coro, provvedendo i necessari microfoni e attacchi microfonici.

 

 

  1. Esigenze di sicurezza e di regolare manutenzione

 

Pur essendo le chiese esonerate dall’approvazione dei vigili del fuoco, esiste un obbligo morale di garantire la sicurezza, curando ad esempio gli accessi con numero, dimensione, posizione e senso di apertura delle porte di fuga.

Nel corso della progettazione siano introdotti tutti gli accorgimenti che garantiscono la regolare e agevole manutenzione della chiesa e dei suoi impianti.

In particolare, sia assicurata l’accessibilità alle parti alte dell’edificio, l’ispezionabilità delle condutture e delle canalizzazioni, che devono essere poste in cunicoli o in vani completamente controllabili.

Per il parroco, il sacrista e i loro collaboratori è opportuna una guida di «istruzioni per l’uso e la conduzione» di tutti gli impianti, con le date di verifica e manutenzione periodica sia ordinaria che straordinaria.

È infine auspicabile che nei consigli per gli affari economici delle parrocchie siano presenti (o siano facilmente reperibili) tecnici preparati per la regolare manutenzione della chiesa e dei suoi impianti.

 

 

  1. Incarico di progettazione

 

Per la progettazione e realizzazione degli impianti (termici, elettrici, fonici e di aerazione) e per la progettazione strutturale ci si affidi a professionisti e a imprese di provata qualificazione. È bene che presso gli uffici di Curia si trovino puntuali riferimenti al riguardo.

La progettazione degli impianti sia eseguita contemporaneamente a quella edilizio-architettonica e strutturale. Quest’ultima in particolare non è da sottovalutare, visto che ambienti di dimensioni fuori dell’ordinario comportano difficoltà di calcolo ed esecutive, che conducono a scelte talvolta contrastanti con le linee architettoniche. Se ciò viene fatto a cura dell’impresa e quindi solo prima dell’inizio dei lavori, ne deriva la necessità di effettuare varianti in corso d’opera, con conseguente compromissione nelle linee architettoniche, e in genere con una forte lievitazione dei costi.

L’affidamento dell’incarico deve prevedere un responsabile-coordinatore, ma contestualmente anche i relativi tecnici-specialisti che devono partecipare fin dall’inizio alla redazione progettuale.

 

 

  1. Copia dei progetti

 

Al termine dei lavori il committente esiga la copia completa, aggiornata con le varianti avvenute in corso d’opera, di tutti i progetti, compresi quelli degli impianti idrico, termico, elettrico, messa a terra, fognario, di sonorizzazione. Ciò al fine di facilitare gli interventi di manutenzione, soprattutto di quella periodica e preventiva. La documentazione è da conservare nell’archivio parrocchiale.

 

 

 

APPENDICE

 

 

  1. I PRINCIPALI DOCUMENTI

 

In tema di progettazione e costruzione di nuove chiese, i principi teologici e liturgici e la normativa conseguente sono contenuti nei documenti qui elencati. Ad ogni documento è premessa la sigla d’uso.

 

 

  1. Testi conciliari e magisteriali

 

SC Conc. Vat. II, Sacrosanctum Concilium, Costituzione sulla sacra liturgia (1963), nn. 122-130: EV 223-240.

 

IOE S. Congregazione dei riti, Inter Oecumenici, Istruzione per la retta applicazione della Costituzione sulla sacra liturgia (1964), nn. 90-99: EV 2/300-309.

 

EMS. Congregazione dei riti e Consilium, Eucharisticum Mysterium, Istruzione sul culto del mistero eucaristico (1967), nn. 24, 52-57: EV 2/1324, 1352-1357.

 

LIS. Congregazione per il culto divino, Liturgicae instaurationes, Istruzione per la retta applicazione della Costituzione sulla sacra liturgia (1970), n. 10: EV 3/2792-2793.

 

MSConsilium e S. Congregazione dei riti, Musicam sacram, Istruzione sulla musica nella sacra liturgia (1967), nn. 23, 63: EV 2/989.1029.

 

RLIIl rinnovamento liturgico in Italia, Nota pastorale della Commissione episcopale per la liturgia della CEI a vent’anni dalla Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium (l983), n. 13: ECEI 3/1535.

 

 

  1. Libri liturgici in versione italiana

 

BEN                          CEI, Benedizionale, Roma 1992, nn. 1159-1589.

 

BODCA                     CEI, Benedizione degli Oli e Dedicazione della chiesa e dell’altare, Roma 1980, pp. 12-74; 40-41; 90-92 (nn. 152-162).

 

LDF                          CEI, Lezionario domenicale e festivo. Premesse (Fascicolo supplementare), Roma 1982, nn. 32-34.

 

MR                            CEI, Messale Romano, Roma 1983.

 

PNMR                       Principi e norme per l’uso del Messale Romano, in MR, pp. XVII-XLVIII: EV 3/2017ss.

 

Precis. CEI               CEI, Precisazioni, in MR, pp. L-LI: EV 3/1381-1403.

 

RBBCEI,                   Rito del Battesimo dei Bambini, Roma 1970, pp. 22-23 (nn. 18-26): EV 3/1109-1117.

 

RCCE                        CEI, Rito della Comunione fuori della Messa e Culto eucaristico, Roma 1979, p. 16 (nn. 9-11): EV 4/2519-2521.

 

RP                             CEI, Rito della Penitenza, Roma 1974, p. 23 (n. 12): EV 4/2693.

 

 

  1. Altri documenti

 

 

 

CDC                         Codice di Diritto Canonico, Roma 1983, cann. 858, 934-940, 964, 1214-1222, 1235-1239.

 

CE                            Caerimoniale Episcoporum, Romae 1984, nn. 42-54, 864-878, 918-932.

 

 

  1. I MAGGIORI RIFERIMENTI

L’asterisco (*) indica i passi riportati per esteso nelle pagine seguenti:

 

Chiesa                       SC 122-129*

LI 10

EM 24

PNMR 255-257*

CDC cann.1214-l222*

RLI 13

CE 840-843, 864-871

 

Presbiterio                 PNMR 258*

CE 50

 

Altare                        IOE 91

PNMR 259-267; 268-70*

Precis. CEI 14*

BODCA 152-162*; 247-249

CDC cann. 1235-1239*

CE 48, 918-932, 972-978

BEN 1267-1278

 

Ambone                    IOE 96

PNMR 272*

Precis. CEI 16

LDF 32-34

CE 51

BEN 1238-1241

 

Sede del presidente   PNMR 271*

Precis. CEI 15*

CE 42, 47

BEN 1214-1218

 

Battistero                  IOE 99

RBB 18-26

CDC can. 858*

CE 52; 995

BEN 1163-1168

 

luogo della penitenza              RP 12

CDC can. 964*

BEN 1407-1410

 

Custodia eucaristica  IOE 95

EM 52-57

PNMR 276-277*

RCCE 9-11

CDC cann. 934-940*

CE 49

BEN 1312-1314

 

Posti dei fedeli          IOE 98

PNMR 273*

 

Coro e organo           IOE 97

MS 23, 63

PNMR 274-275 *

BEN 1478-1481

 

Immagini sacre         SC 125*

PNMR 278*

BEN 1331-1337; 1358-1364

 

Arredo                      SC 123-124* PNMR 287-288, 311-312* Precis. CEI 17*

BEN 1159-1162, 1495-1500

 

 


LA  NORMATIVA LITURGICA

 

COSTITUZIONE CONCILIARE

SULLA SACRA LITURGIA

 

Sacrosanctum Concilium

SC 122-129

 

 

L’ARTE SACRA E LA SACRA SUPPELLETTILE

 

 

 

122.

Fra le più nobili attività dell’ingegno umano sono annoverate, a pieno titolo, le arti liberali, soprattutto l’arte religiosa e il suo vertice, l’arte sacra. Per loro stessa natura, queste arti tendono ad esprimere in qualche modo, nelle opere umane, l’infinita bellezza di Dio, e tanto più sono volte a lui e all’accrescimento della sua lode e della sua gloria, in quanto non hanno nessun altro intento che quello di contribuire nel miglior modo possibile a indirizzare pienamente verso Dio lo spirito dell’uomo.

Per tali motivi la santa madre chiesa ha sempre favorito le arti liberali, e ha sempre ricercato il loro nobile servizio, specialmente perché gli oggetti destinati al culto splendessero veramente per dignità, decoro e bellezza, segni e simboli delle realtà soprannaturali: ed ella stessa ha formato degli artisti. A riguardo, anzi, di tali arti, la chiesa si è sempre ritenuta, a buon diritto, come arbitra, scegliendo tra le opere degli artisti quelle che rispondevano alla fede, alla pietà e alle norme religiosamente tramandate, e risultavano adatte all’uso sacro.

Con speciale sollecitudine la chiesa si è preoccupata che la sacra suppellettile servisse con la sua dignità e bellezza al decoro del culto, ammettendo nella materia, nella forma e nell’ornamento quei cambiamenti che il progresso della tecnica ha introdotto nel corso dei secoli.

 

123.

La chiesa non ha mai considerato come proprio un particolare stile artistico, ma, secondo l’indole e le condizioni dei popoli e le esigenze dei vari riti, ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca, creando così, nel corso dei secoli, un tesoro artistico da conservarsi con ogni cura. Anche l’arte contemporanea di tutti i popoli e paesi deve avere nella chiesa libertà di espressione, purché serva con la dovuta reverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti. In tal modo essa potrà aggiungere la propria voce al mirabile concento di gloria che uomini eccelsi innalzarono nei secoli passati alla fede cattolica.

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124.

Nel promuovere e favorire un’autentica arte sacra, gli ordinari procurino di ricercare piuttosto una nobile bellezza che una mera sontuosità. E ciò valga anche per le vesti e gli ornamenti sacri. I vescovi abbiano cura di allontanare dalla casa di Dio e dagli altri luoghi sacri quelle opere d’arte che sono in contrasto con la fede, la morale e la pietà cristiana; che offendono il genuino senso religioso, o perché spregevoli nelle forme, o perché scadenti, mediocri o false nell’espressione artistica.

Nella costruzione poi degli edifici sacri ci si preoccupi diligentemente della loro idoneità a consentire lo svolgimento delle azioni liturgiche e la partecipazione attiva dei fedeli.

 

125.

Si mantenga l’uso di esporre nelle chiese alla venerazione dei fedeli le immagini sacre. Tuttavia si espongano in numero moderato e nell’ordine dovuto, per non destare ammirazione nei fedeli e per non indulgere a una devozione svisata.

 

126.

Quando si tratta di dare un giudizio sulle opere d’arte, gli ordinari del luogo sentano il parere della Commissione diocesana di arte sacra e, se è il caso, di altre persone particolarmente competenti, come pure delle Commissioni di cui gli articoli 44, 45, 46. Una vigilanza speciale abbiano gli ordinari nell’evitare che la sacra suppellettile o le opere preziose, che sono ornamento della casa di Dio, vengano alienate o disperse.

 

127.

I vescovi, o direttamente o per mezzo di sacerdoti idonei, che conoscono e amano l’arte, si prendano cura degli artisti, allo scopo di formarli allo spirito dell’arte sacra e della sacra liturgia. Si raccomanda inoltre di istituire, dove si riterrà opportuno, scuole o accademie di arte sacra per la formazione degli artisti.

Tutti gli artisti, poi, che guidati dal loro talento intendono glorificare Dio nella santa chiesa, ricordino sempre che la loro attività è in certo modo una religiosa imitazione di Dio creatore e che le loro opere sono destinate al culto cattolico, all’edificazione, alla pietà e all’istruzione religiosa dei fedeli.

 

128.

Si rivedano quanto prima, insieme ai libri liturgici, a norma dell’art. 25, i canoni e le disposizioni ecclesiastiche che riguardano l’allestimento e l’apparato delle cose esterne attinenti al culto sacro, e specialmente quanto riguarda la costruzione degna e appropriata degli edifici sacri, la forma e l’erezione degli altari, la nobiltà, la disposizione e la sicurezza del tabernacolo eucaristico, la funzionalità e la dignità del battistero, la conveniente disposizione delle sacre immagini, della decorazione e degli ornati. Le norme che risultassero meno rispondenti alla riforma della liturgia siano corrette o abolite: quelle invece che risultassero favorevoli siano mantenute o introdotte.

A tale riguardo, soprattutto per quanto si riferisce alla materia e alla forma della sacra suppellettile e degli indumenti, si concede facoltà alle assemblee episcopali delle varie regioni di fare gli adattamenti richiesti dalle necessità e dalle usanze locali, a norma dell’art. 22 della presente Costituzione.

 

129.

I chierici, durante il corso filosofico e teologico, siano istruiti anche sulla storia e lo sviluppo dell’arte sacra, come pure sui sani principi su cui devono fondarsi le opere dell’arte sacra, in modo che siano in grado di stimare e conservare i venerabili monumenti della chiesa e di offrire opportuni consigli agli artisti nella loro produzione d’arte.

 

 

 

 

MESSALE ROMANO

PRINCIPI E NORME PER L’USO

DEL MESSALE ROMANO

PNMR 255-288, 311-312

 

 

Disposizione e arredamento delle chiese

per la celebrazione dell’eucaristia

 

 

 

255.

Tutte le chiese siano solennemente dedicate o almeno benedette. Le chiese cattedrali e parrocchiali siano sempre dedicate. I fedeli, poi, tengano nel dovuto onore la chiesa cattedrale della loro diocesi e la propria chiesa parrocchiale; e considerino l’una e l’altra segno di quella chiesa spirituale alla cui edificazione e sviluppo sono chiamati dalla loro professione cristiana.

 

256.

Tutti coloro che sono interessati alla costruzione, al restauro e al riordinamento delle chiese, consultino la Commissione diocesana di liturgia e arte sacra. L’ordinario del luogo, poi, si serva del consiglio e dell’aiuto della stessa commissione quando si tratta di dare norme in questa materia o di approvare progetti di nuove chiese, o di definire questioni di una certa importanza.

 

 

 

  1. Disposizione della chiesa per l’assemblea eucaristica

 

 

257.

Il popolo di Dio, che si raduna, per la messa, ha una struttura organica e gerarchica, che si esprime nei vari compiti (o ministeri) e nel diverso comportamento secondo le singole parti della celebrazione. Pertanto è necessario che la disposizione generale del luogo sacro sia tale da presentare in certo modo l’immagine dell’assemblea riunita, consentire l’ordinata e organica partecipazione di tutti e favorire il regolare svolgimento dei compiti di ciascuno.

I fedeli e la schola avranno un posto che renda più facile la loro partecipazione attiva.

Il sacerdote invece e i suoi ministri prenderanno posto nel presbiterio, ossia in quella parte della chiesa che manifesta il loro ministero, e in cui ognuno rispettivamente presiede all’orazione, annuncia la parola di Dio e serve all’altare.

Queste disposizioni servono ad esprimere la struttura gerarchica e la diversità dei compiti (o ministeri), ma devono anche assicurare una più profonda o organica unità, attraverso la quale si manifesti chiaramente l’unità di tutto il popolo santo. La natura poi e la bellezza del luogo e di tutta la suppellettile devono favorire la pietà e manifestare la santità dei misteri che vengono celebrati.

 

 

III. Il presbiterio

 

258.

Il presbiterio si deve opportunamente distinguere dalla navata della chiesa per mezzo di una elevazione, o mediante strutture e ornamenti particolari. Sia inoltre di tale ampiezza da consentire un comodo svolgimento dei sacri riti.

 

 

  1. L’altare

 

259.

L’altare, sul quale si rende presente nei segni sacramentali il sacrificio della croce, è anche la mensa del Signore, alla quale il popolo di Dio è chiamato a partecipare quando è convocato per la messa; l’altare è il centro dell’azione di grazie che si compie con l’eucaristia.

 

260.

La celebrazione dell’eucaristia in un luogo sacro si deve compiere sopra un altare fisso o mobile; fuori del luogo sacro, invece, specie se si fa ad modum actus, si può compiere anche sopra un tavolo adatto, purché vi siano sempre una tovaglia e il corporale.

 

261.

L’altare si dice «fisso» se è costruito in modo da aderire al pavimento e non poter quindi venir rimosso; si dice invece «mobile» se lo si può trasportare.

 

262.

Nella chiesa vi sia di norma l’altare fisso e dedicato. Sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo. Sia poi collocato in modo da costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga l’attenzione di tutta l’assemblea.

 

263.

Secondo un uso e un simbolismo tradizionali nella chiesa, la mensa dell’altare fisso sia di pietra, e più precisamente di pietra naturale. Tuttavia, a giudizio della conferenza episcopale, si può adoperare anche un’altra materia degna, solida e ben lavorata.

Gli stipiti però e la base per sostenere la mensa possono essere di qualsiasi materiale, purché conveniente e solido.

 

264.

L’altare mobile può essere costruito con qualsiasi materiale di un certo pregio e solido, confacente all’uso liturgico, secondo lo stile e gli usi locali delle diverse regioni.

 

265.

Gli altari, sia fissi che mobili, si dedicano secondo il rito descritto nei libri liturgici; tuttavia gli altari mobili possono essere soltanto benedetti. Non vi è alcun obbligo di inserire la pietra consacrata nell’altare mobile o nel tavolo sul quale si compie la celebrazione fuori del luogo sacro (cf. n. 260).

 

266.

Si mantenga l’uso di collocare sotto l’altare da dedicare le reliquie dei santi, anche se non martiri. Però si curi di verificare l’autenticità di tali reliquie.

 

267.

Gli altri altari siano pochi e, nelle nuove chiese, siano collocati in cappelle, separate in qualche modo dalla navata della chiesa.

 

 

  1. La suppellettile dell’altare

 

268.

Per rispetto verso la celebrazione del memoriale del Signore e verso il convito nel quale vengono presentati il corpo ed il sangue di Cristo, si distenda sopra l’altare almeno una tovaglia, che sia adatta alla struttura dell’altare per la forma, la misura e l’ornamento.

 

269.

I candelieri, richiesti per le singole azioni liturgiche, in segno di venerazione e di celebrazione gioiosa, siano collocati o sopra l’altare, oppure accanto ad esso, tenuta presente la struttura sia dell’altare che del presbiterio, in modo da formare un tutto armonico; e non impediscano ai fedeli di vedere comodamente ciò che si compie o viene collocato sull’altare.

270.

Inoltre vi sia sopra l’altare, o accanto ad esso, una croce, ben visibile allo sguardo dell’assemblea riunita.

 

 

  1. La sede per il celebrante e per i ministri, ossia il luogo della presidenza

 

271.

La sede del sacerdote celebrante deve mostrare il compito che egli ha di presiedere l’assemblea e di guidare la preghiera. Perciò la collocazione più adatta è quella rivolta al popolo, al fondo del presbiterio, a meno che non vi si oppongano la struttura dell’edificio e altri elementi, ad esempio la troppa distanza che rendesse difficile la comunicazione tra il sacerdote e l’assemblea. Si eviti ogni forma di trono. Le sedi per i ministri, invece, siano collocate in presbiterio nel posto più adatto perché essi possano compiere con facilità il proprio ufficio.

 

 

VII. L’ambone, ossia il luogo dal quale viene annunciata la parola di Dio

 

 

 

272.

L’importanza della parola di Dio esige che vi sia nella chiesa un luogo adatto dal quale essa venga annunciata, e verso il quale, durante la liturgia della parola, spontaneamente si rivolga l’attenzione dei fedeli.

Conviene che tale luogo generalmente sia un ambone fisso e non un semplice leggio mobile. L’ambone, secondo la struttura di ogni chiesa, deve essere disposto in modo tale che i ministri possano essere comodamente visti e ascoltati dai fedeli.

Dall’ambone si proclamano le letture, il salmo responsoriale e il preconio pasquale; ivi inoltre si può tenere l’omelia e la preghiera universale o preghiera dei fedeli.

Non conviene però che all’ambone salga il commentatore, il cantore o l’animatore del coro.

 

 

  1. I posti dei fedeli

 

273.

Si curi in modo particolare la collocazione dei posti dei fedeli, perché possano debitamente partecipare, con lo sguardo e con spirito, alle sacre celebrazioni. È bene mettere a loro disposizione banchi e sedie. Si deve però riprovare l’uso di riservare dei posti a persone private.

Le sedie o i banchi si dispongano in modo che i fedeli possano assumere comodamente i diversi atteggiamenti del corpo richiesti dalle diverse parti della celebrazione, e recarsi senza difficoltà a ricevere la santa comunione.

Si abbia cura che i fedeli possano non soltanto vedere, ma anche, con i mezzi tecnici moderni, ascoltare comodamente sia il sacerdote sia gli altri ministri.

 

 

  1. Il posto della «schola» e dell’organo o di altri strumenti

 

274.

La schola cantorum, tenuto conto della disposizione di ogni chiesa, sia collocata in modo da mettere chiaramente in risalto la sua natura: che essa cioè fa parte dell’assemblea dei fedeli e svolge un suo particolare ufficio; ne sia agevolato il compimento del suo ministero liturgico e sia facilitata a ciascuno dei suoi membri la partecipazione piena alla messa, cioè la partecipazione sacramentale.

 

275.

L’organo e gli altri strumenti legittimamente ammessi siano collocati in luogo adatto, in modo da poter essere di appoggio sia alla schola sia al popolo che canta e, se vengono suonati da soli, possano essere facilmente ascoltati da tutti.

 

 

  1. Il posto per la custodia della santissima eucaristia

 

276.

Si raccomanda vivamente che il luogo in cui si conserva la santissima eucaristia sia situato in una cappella adatta alla preghiera privata e all’adorazione dei fedeli. Se poi questo non si può attuare, l’eucaristia sia collocata in un altare, o anche fuori dell’altare, in un luogo della chiesa molto visibile e debitamente ornato, tenuta presente la struttura di ciascuna chiesa e le legittime consuetudini di ogni luogo.

 

277.

Si custodisca la santissima eucaristia in un unico tabernacolo, inamovibile, e solido, non trasparente, e chiuso in modo da evitare il più possibile il pericolo della profanazione.

Pertanto in ogni chiesa normalmente vi sia un solo tabernacolo.

 

 

  1. Le immagini esposte alla venerazione dei fedeli

 

278.

Secondo un’antichissima tradizione della chiesa, nei luoghi sacri legittimamente si espongano alla venerazione dei fedeli le immagini del Signore, della beata Vergine e dei santi.

Si abbia cura tuttavia che il loro numero non sia eccessivo, e che la loro disposizione non distolga l’attenzione dei fedeli dalla celebrazione. Di un medesimo santo poi non si abbia che una sola immagine. In generale, nell’ornamento e nella disposizione della chiesa, per quanto riguarda le immagini si cerchi di favorire la pietà della comunità.

 

 

XII. La disposizione generale del luogo sacro

 

279.

L’arredamento della chiesa abbia di mira una nobile semplicità, piuttosto che il fasto.

Nella scelta degli elementi per l’arredamento, si curi la verità delle cose e si tenda all’educazione dei fedeli alla dignità di tutto il luogo sacro.

 

280.

Una conveniente disposizione della chiesa e dei suoi accessori, che rispondano opportunamente alle esigenze del nostro tempo, richiede che non si curino solo le cose più direttamente pertinenti alla celebrazione delle azioni sacre, ma che si preveda anche ciò che contribuisce alla comodità dei fedeli, e che abitualmente si trova nei luoghi di riunione.

 

 

 

COSE NECESSARIE PER LA CELEBRAZIONE

DELLA MESSA

 

 

  1. Le suppellettili sacre in genere

 

287.

Come per la costruzione di chiese, anche per ogni tipo di suppellettile sacra la chiesa ammette il genere e lo stile artistico di ogni regione, e accetta quegli adattamenti che corrispondono alle culture e alle tradizioni dei singoli popoli, purché ogni cosa sia adatta all’uso per il quale è destinata.

Anche in questo settore si curi quella nobile semplicità che si accompagna tanto bene con l’arte autentica.

 

288.

Nello scegliere la materia per la suppellettile sacra, oltre a quella tradizionalmente in uso, si possono adoperare anche quelle, che, secondo la mentalità del nostro tempo, sono ritenute nobili, durevoli e che si adattano bene all’uso sacro. In questo settore, il giudizio spetta alla conferenza episcopale delle singole regioni.

 

 

  1. Altra suppellettile destinata all’uso della chiesa

 

311.

Oltre ai vasi sacri e alle vesti liturgiche, per cui viene prescritta una determinata materia, anche l’altra suppellettile, destinata direttamente all’uso liturgico, o in qualunque altro modo ammessa nella chiesa, deve essere degna e rispondere al fine a cui ogni cosa è destinata.

 

312.

Si curi in modo particolare che anche nelle cose di minore importanza le esigenze dell’arte siano opportunamente rispettate, e che una nobile semplicità sia sempre congiunta con la debita pulizia.

 

 

Conferenza episcopale italiana

Messale Romano, ed. 1983, 2ª ed.

 

 

PRECISAZIONI

 

 

  1. L’altare (cf. PNMR n. 262)

 

L’altare fisso della celebrazione sia unico e rivolto al popolo.

Nel caso di difficili soluzioni artistiche per l’adattamento di particolari chiese e presbitèri, si studi, sempre d’intesa con le competenti commissioni diocesane, l’opportunità di un altare «mobile» appositamente progettato e definitivo.

Se l’altare retrostante non può essere rimosso o adattato, non si copra la sua mensa con la tovaglia.

Si faccia attenzione a non ridurre l’altare a un supporto di oggetti che nulla hanno a che fare con la liturgia eucaristica. Anche i candelieri e i fiori siano sobri per numero e dimensione e la collocazione non sia tanto ingombrante da sminuire il valore delle suppellettili sacre e dei segni liturgici.

 

 

  1. La sede per il celebrante e i ministri (cf. PNMR n. 271)

 

La sede del celebrante e dei ministri sia in diretta comunicazione con l’assemblea.

 

 

  1. L’ambone (cf. PNMR n. 272)

L’ambone o luogo della Parola, sia conveniente per dignità e funzionalità; non sia ridotto a un semplice leggìo, né diventi supporto per altri libri all’infuori dell’Evangeliario e del Lezionario.

 

 

  1. Materia per la costruzione dell’altare (cf. PNMR n. 263), per la preparazione delle suppellettili (cf. PNMR n. 268), dei vasi sacri (cf. PNMR n. 294) e delle vesti sacre (cf. PNMR n. 305)

 

Si possono usare materiali diversi da quelli usati tradizionalmente, purché convenienti per la qualità e funzionalità all’uso liturgico.

In particolare, per quanto attiene la coppa del calice è da escludere l’impiego di metalli facilmente ossidabili (ad es. alpacca, rame, ottone ECC.), anche se dorati, da cui, oltre l’alterazione delle sacre specie, possono derivare effetti nocivi.

Nell’impiego dei vari materiali si tengano presenti le indicazioni date in «Principi e norme per l’uso del Messale romano» perché rispecchino quella dignitosa e austera bellezza che vi si deve sempre ricercare nelle opere dell’artigianato a servizio del culto.

 

 


Pontificale romano

BODCA 152-162

 

Dedicazione di un altare

 

Premesse

 

 

  1. Natura e dignità dell’altare

 

Cristo, altare del suo sacrificio

 

152.

Gli antichi Padri della chiesa, meditando sulla parola di Dio, non esitarono ad affermare che Cristo fu vittima, sacerdote e altare del suo stesso sacrificio.

La lettera agli Ebrei descrive infatti il Cristo come pontefice sommo e altare vivente del tempio celeste, e l’Apocalisse presenta il nostro Redentore come agnello immolato la cui offerta vien portata, per le mani dell’angelo santo, sull’altare del cielo (cf. Eb 4,14; 13,10; Ap 5,6).

 

Anche il cristiano è altare spirituale

 

 

153.

Se vero altare è Cristo, capo e maestro, anche i discepoli, membra del suo corpo, sono altari spirituali, sui quali viene offerto a Dio il sacrificio di una vita santa. Interpretazione, questa, già avvertita dai Padri stessi, per es. da sant’Ignazio d’Antiochia, quando rivolge quella sua mirabile preghiera: «Lasciatemi questo solo: che io sia immolato a Dio, finché l’altare è pronto», o da san Policarpo, allorché raccomanda alle vedove di vivere santamente, perché «sono altare di Dio». A queste espressioni fa eco, accanto ad altre voci, quella di san Gregorio Magno: «Che cos’è l’altare di Dio se non l’anima di coloro che conducono una vita santa?… A buon diritto, quindi, altare di Dio vien chiamato il cuore dei giusti».

Secondo un’altra immagine assai frequente negli scrittori ecclesiastici, i fedeli che si dedicano alla preghiera, che fanno salire a Dio le loro implorazioni e offrono a lui il sacrificio delle loro suppliche, sono essi stessi pietre vive con le quali il Signore Gesù edifica l’altare della chiesa.

 

L’altare, mensa del sacrificio e del convito pasquale

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154.

Cristo Signore, istituendo nel segno di un convito sacrificale il memoriale del sacrificio che stava per offrire al Padre sull’altare della croce, rese sacra la mensa intorno alla quale dovevano radunarsi i fedeli per celebrare la sua Pasqua. L’altare è quindi mensa del sacrificio e del convito; su questa mensa il sacerdote, che rappresenta Cristo Signore, fa ciò che il Signore stesso fece e affidò ai discepoli, perché lo facessero anch’essi in memoria di lui. A tutto questo allude l’apostolo, quando dice: «Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1Cor 10,16-17).

 

L’altare, segno di Cristo

 

 

 

155.

In ogni luogo, quando le circostanze lo esigono, i figli della chiesa possono celebrare il memoriale di Cristo e appressarsi alla mensa del Signore. Conviene però alla dignità del mistero eucaristico che i fedeli costruiscano, come già nei tempi antichi, un altare stabilmente destinato alla celebrazione della cena del Signore.

L’altare cristiano è, per sua stessa natura, ara del sacrificio e mensa del convitto pasquale:

 

– su quell’ara viene perpetuato nel mistero, lungo il corso dei secoli, il sacrificio della croce, fino alla venuta di Cristo;

 

– a quella mensa si riuniscono i figli della chiesa, per rendere grazie a Dio e ricevere il corpo e il sangue di Cristo.

L’altare è pertanto, in tutte le chiese, «il centro dell’azione di grazie, che si compie nell’eucaristia» a questo centro sono in qualche modo ordinati tutti gli altri riti della chiesa.

Per il fatto che all’altare si celebra il memoriale del Signore e vien distribuito ai fedeli il suo corpo e il suo sangue, gli scrittori ecclesiastici furono indotti a scorgere nell’altare un segno di Cristo stesso; donde la nota affermazione che «l’altare è Cristo».

 

L’altare, onore dei martiri

 

 

156.

La dignità dell’altare consiste tutta nel fatto che esso è la mensa del Signore. Non sono dunque i corpi dei martiri che onorano l’altare, ma piuttosto è l’altare che dà prestigio al sepolcro dei martiri. Proprio per onorare i corpi dei martiri e degli altri santi, come per indicare che il sacrificio dei membri trae principio e significato dal sacrificio del Capo, conviene che l’altare venga eretto sui sepolcri dei martiri o che sotto l’altare siano deposte le loro reliquie, in modo che «vengano queste vittime trionfali a prendere il loro posto nel luogo in cui Cristo si offre vittima. Egli però sta sopra l’altare, perché ha patito per tutti; questi, riscattati dalla sua passione, saranno collocati sotto l’altare». Una collocazione che sembra ripresentare in qualche modo la visione spirituale dell’apostolo Giovanni nell’Apocalisse: «Vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa» (Ap 6,9). Sebbene infatti tutti i santi vengano chiamati a buon diritto testimoni di Cristo, ha però una forza tutta particolare la testimonianza del sangue e sono proprio le reliquie dei martiri deposte sotto l’altare che esprimono questa testimonianza in tutta la sua interezza.

 

 

  1. Erezione dell’altare

 

157.

È opportuno che in ogni chiesa ci sia un altare fisso. Negli altri luoghi destinati alle sacre celebrazioni, l’altare può essere fisso o «mobile». Altare fisso è quello che fa corpo con il pavimento su cui è costruito, ed è, come tale, inamovibile; altare mobile è quello che si può spostare.

 

158.

È bene che nelle nuove chiese venga eretto un solo altare; l’unico altare, presso il quale si riunisce come un solo corpo l’assemblea dei fedeli, è segno dell’unico nostro salvatore, Cristo Gesù, e dell’unica eucaristia della chiesa.

Si potrà tuttavia erigere un secondo altare in una cappella possibilmente separata, in qualche modo, dalla navata della chiesa e destinata a ospitare il tabernacolo per la custodia del santissimo sacramento; sull’altare di questa cappella si potrà anche celebrare la messa nei giorni feriali per un gruppo ristretto dei fedeli.

Si dovrà comunque evitare assolutamente la costruzione di più altari al solo scopo di ornamento della chiesa.

 

159.

L’altare si costruisca separato dalla parete, in modo che il sacerdote possa girarvi intorno senza difficoltà e celebrarvi la messa rivolto verso il popolo; «sia poi collocato in modo da costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga l’attenzione di tutta l’assemblea.

 

160.

In conformità alla tradizione della chiesa e al simbolismo biblico dell’altare, la mensa dell’altare fisso deve essere di pietra e precisamente di pietra naturale. A giudizio però delle conferenze episcopali, può essere consentito l’uso di un’altra materia, purché sia degna, solida e ben lavorata.

Per gli stipiti invece o per il basamento di sostegno della mensa, è ammessa qualsiasi materia, purché degna e solida.

 

161.

Per sua stessa natura, l’altare è dedicato a Dio soltanto, perché a Dio soltanto viene offerto il sacrificio eucaristico. È questo il senso in cui si deve intendere la consuetudine della chiesa di dedicare a Dio altari in onore dei santi. Lo esprime assai bene sant’Agostino: «Non ai martiri, ma al Dio dei martiri dedichiamo altari, anche se lo facciamo nelle memorie dei martiri».

È una cosa, questa, da spiegare con chiarezza ai fedeli. Nelle nuove chiese non si devono collocare sull’altare né statue, né immagini di santi. Neanche le reliquie dei santi, esposte alla venerazione dei fedeli, si devono deporre sulla mensa dell’altare.

 

162.

Verrà opportunamente conservata la tradizione della liturgia romana di deporre sotto l’altare reliquie di martiri o di altri santi.

Si tengano però presenti queste norme:

  1. a) Le reliquie siano di grandezza tale da lasciar intendere che si tratta di parti del corpo umano. Si deve quindi evitare la deposizione di reliquie troppo minuscole di uno o più santi.
  2. b) Si usi la massima diligenza nel controllare l’autenticità delle reliquie. È meglio dedicare l’altare senza reliquie, che riporre sotto di esso reliquie di dubbia autenticità.
  3. c) Il cofano delle reliquie non si deve sistemare sull’altare, né inserire nella mensa, ma riporre sotto di essa, tenuta presente la forma dell’altare.

 

 

 

Codice Di Diritto Canonico

cdc 858, 934-940, 964, 1214-1222, 1235-1239

 

 

LIBRO IV

LA FUNZIONE DI SANTIFICARE DELLA CHIESA

 

 

IL BATTESIMO

 

Can. 858

 

$ 1. Ogni chiesa parrocchiale abbia il fonte battesimale, salvo il diritto cumulativo già acquisito da altre chiese.

 

$ 2. Per comodità dei fedeli, l’ordinario del luogo, udito il parroco locale, può permettere o disporre che il fonte battesimale si trovi anche in un’altra chiesa o oratorio entro i confini della parrocchia.

 

 

CONSERVAZIONE E VENERAZIONE

DELLA SANTISSIMA EUCARISTIA

 

 

 

Can. 934

 

$ 1. La santissima Eucaristia

 

1.

deve essere conservata nella chiesa cattedrale o a questa equiparata, in ogni chiesa parrocchiale e nella chiesa o oratorio annesso alla casa di un istituto religioso o di una società di vita apostolica;

2.

può essere conservata nella cappella privata del vescovo e, su licenza dell’Ordinario del luogo, nelle altre chiese, oratori o cappelle private.

 

$ 2. Nei luoghi sacri dove viene conservata la santissima Eucaristia, vi deve essere sempre chi ne abbia cura e, per quanto possibile, il sacerdote vi celebri la messa almeno due volte al mese.

 

Can. 935 Non è lecito ad alcuno conservare presso di sé la santissima eucaristia o portarsela in viaggio, a meno che non vi sia una necessità pastorale urgente e osservate le disposizioni del vescovo diocesano.

 

Can. 936 Nella casa di un istituto religioso o in un’altra pia casa, la santissima Eucaristia venga conservata soltanto nella chiesa o nell’oratorio principale annesso alla casa; l’Ordinario può tuttavia permettere per una giusta causa che venga conservata in un altro oratorio della medesima casa.

 

Can. 937 Se non vi si oppone una grave ragione, la chiesa nella quale viene conservata la santissima eucaristia, resti aperta ai fedeli almeno per qualche ora al giorno, affinché possano trattenersi in preghiera dinanzi al santissimo sacramento.

 

Can. 938 $ 1. La santissima eucaristia venga custodita abitualmente in un solo tabernacolo della chiesa o dell’oratorio.

$ 2. Il tabernacolo nel quale si custodisce la santissima Eucaristia sia collocato in una parte della chiesa o dell’oratorio che sia distinta, visibile, ornata decorosamente, adatta alla preghiera.

$ 3. Il tabernacolo nel quale si custodisce abitualmente la santissima eucaristia sia inamovibile, costruito con materiale solido non trasparente e chiuso in modo tale che sia evitato il più possibile ogni pericolo di profanazione.

$ 4. Per causa grave è consentito conservare la santissima eucaristia, soprattutto durante la notte, in altro luogo più sicuro e decoroso.

$ 5. Chi ha la cura della chiesa o dell’oratorio, provveda che la chiave del tabernacolo, nel quale è conservata la santissima Eucaristia, sia custodita con la massima diligenza.

 

Can. 939

Le ostie consacrate vengano conservate nella pisside o in un piccolo vaso in quantità sufficiente alle necessità dei fedeli e, consumate nel debito modo le precedenti, siano rinnovate con frequenza.

 

Can. 940

Davanti al tabernacolo nel quale si custodisce la santissima eucaristia, brilli perennemente una speciale lampada, mediante la quale venga indicata e sia onorata la presenza di Cristo.

 

 

 

 

SACRAMENTO DELLA PENITENZA

 

Can. 964 $ 1. Il luogo proprio per ricevere le confessioni sacramentali è la chiesa o l’oratorio.

$ 2. Relativamente alla sede per le confessioni, le norme vengano stabilite dalla Conferenza Episcopale, garantendo tuttavia che si trovino sempre in un luogo aperto i confessionali, provvisti di una grata fissa tra il penitente e il confessore, cosicché i fedeli che lo desiderano possano liberamente servirsene.

 

$ 3. Non si ricevano le confessioni fuori del confessionale, se non per giusta causa.

 

 

LE CHIESE

 

Can. 1214

Col nome di chiesa si intende un edificio sacro destinato al culto divino, ove i fedeli abbiano il diritto di entrare per esercitare soprattutto tale culto.

 

Can. 1215

$ 1. Non si costruisca nessuna chiesa senza espresso consenso scritto del vescovo diocesano.

$ 2. Il vescovo diocesano non dia tale consenso se, udito il consiglio presbiterale e i rettori delle chiese vicine, non giudica che la nuova chiesa potrà servire al bene delle anime e che non mancheranno i mezzi necessari alla sua costruzione e al culto divino.

$ 3. Anche gli istituti religiosi, quantunque abbiano ricevuto dal vescovo diocesano il consenso per costruire una nuova casa nella diocesi o nella città, tuttavia devono ottenere la sua licenza prima di edificare la chiesa in un determinato luogo.

 

Can. 1216

Nel costruire e nel restaurare le chiese, con il consiglio dei periti si osservino i principi e le norme della liturgia e dell’arte sacra.

 

Can. 1217

$ 1. Compiuta opportunatamente la costruzione, la nuova chiesa sia quanto prima dedicata o almeno benedetta, osservando le leggi della sacra liturgia.

$ 2. Le chiese, particolarmente quelle cattedrali e parrocchiali, siano dedicate con rito solenne.

Can. 1218

Ciascuna chiesa abbia il suo titolo, che non può essere cambiato, una volta avvenuta la dedicazione.

Can. 1219

Nella chiesa legittimamente dedicata o benedetta si possono compiere tutti gli atti del culto divino, salvi i diritti parrocchiali.

 

Can. 1220

$ 1. Tutti coloro cui spetta, abbiano cura che nella chiesa sia mantenuta quella pulizia e quel decoro che si addice alla casa di Dio, e che sia tenuto lontano da esse tutto ciò che è alieno dalla santità del luogo.

$ 2. Per proteggere i beni sacri e preziosi si adoperino con la cura ordinaria nella manutenzione anche gli opportuni mezzi di sicurezza.

Can. 1221

L’ingresso in chiesa durante il tempo delle sacre funzioni sia libero e gratuito.

 

Can. 1222

$ 1. Se una chiesa non può in alcun modo essere adibita al culto divino, né è possibile restaurarla, il vescovo diocesano può ridurla a uso profano non indecoroso.

$ 2. Quando altre gravi ragioni suggeriscono che una chiesa non sia più adibita al culto divino, il vescovo diocesano, udito il consiglio presbiterale, può ridurla a uso profano non indecoroso, con il consenso di quanti rivendicano legittimamente diritti su di essa e purché non ne patisca alcun danno il bene delle anime.

 

 

GLI ALTARI

 

Can. 1235

$ 1. L’altare, ossia la mensa sulla quale si celebra il sacrificio eucaristico, si dice fisso se è costruito in modo che sia unito al pavimento e che perciò non possa essere rimosso; si dice mobile, invece, se può essere trasportato.

$ 2. È opportuno che in ogni chiesa vi sia l’altare fisso; invece negli altri luoghi destinati alle celebrazioni sacre, l’altare può essere fisso o mobile.

 

Can. 1236

$ 1. Secondo l’uso tradizionale della chiesa, la mensa dell’altare fisso sia di pietra e per di più di una pietra naturale intera; tuttavia, a giudizio della Conferenza Episcopale, si può usare anche un’altra materia decorosa e solida. Gli stipiti o base, invero, possono essere fatti di qualsiasi materia.

 

  1. L’altare mobile può essere costruito con qualsiasi materia solida conveniente all’uso liturgico.

 

Can. 1237

$ 1. Gli altari fissi devono essere dedicati; quelli mobili, invece, dedicati o benedetti secondo i riti prescritti nei libri liturgici.

$ 2. Secondo le norme prescritte nei libri liturgici, si mantenga l’antica tradizione di riporre sotto l’altare fisso le reliquie dei martiri o di altri santi.

 

Can. 1238

$ 1. L’altare perde la dedicazione o la benedizione a norma del can. 1212.

$ 2. Gli altari, fissi o mobili, non perdono la dedicazione o la benedizione per il fatto che la chiesa o altro luogo sacro siano ridotti a usi profani.

 

Can. 1239

$ 1. L’altare, sia fisso che mobile, deve essere riservato unicamente al culto divino, escludendo del tutto qualsivoglia uso profano.

$ 2. Sotto l’altare non sia riposto alcun cadavere; altrimenti non è lecito celebrarvi sopra la Messa.

 

 

 

 

 

5.

 

GLI STRUMENTI LEGISLATIVI REGIONALI

 

 

 

Tutte le regioni italiane dispongono oggi di strumenti normativi che regolano i rapporti degli enti territoriali con gli enti istituzionali competenti del servizio religioso.

 

Regioni Tipologia di strumenti normativi

 

a statuto speciale

 

1. Valle D’Aosta

 

Legge 18.6.1988 n. 41. Considera gli edifici di culto come «opera pubblica». Contributi in c.c. per costruzioni al rustico e impegni ventennali in conto interessi, sino alla copertura massima del 75% degli interessi.

 

2. Trentino-Alto Adige

 

Legge regionale 5.11.1968 n. 40: gli edifici di culto sono «opera pubblica». Provincia di Trento: leggi 1.9.1975 n. 46; 3.1.1986 n. 2; 25.11.1988 n. 44; 5.9.1991 n. 22. Provincia di Bolzano: legge 1.6.1975 n. 27.

 

3. Friuli-Venezia Giulia Gli edifici di culto e le «pertinenze funzionali sono «opera pubblica». Legge 23.12.1985 n. 53. Decreti Presid. Giunta Regionale n. 481 del 5.5.1973 e n. 826 del 15.9.1978. Leggi 18.11.1976 n. 60; 28.1.1987 n. 3; 9.8.1988 n. 10.
4. Sicilia

 

L’edilizia di culto è «opera pubblica» d’interesse regionale. Leggi 5.2.1956 n. 9; 31.3.1972 n. 19; 29.4.1985 n. 21.
5. Sardegna

 

L’edilizia di culto è «opera pubblica». Leggi 13.6.1989 n. 38 e 27.6.1989 n. 44.

 

 

 

a statuto ordinario

 

1. Piemonte

 

 

Legge 7.3.1989 n. 15. Disciplina i proventi dell’attività edilizia e dispone contributi regionali.

 

2. Lombardia

 

Legge 9.5.1992 n. 20. Disciplina i proventi dell’attività edilizia.

 

3. Veneto

 

Leggi 11.3.1986 n. 9; 20.8.1987 n. 44; 6.9.1991 n. 20. Disciplina dei proventi urbanizzativi e contributi regionali per restauri.

 

4. Liguria

 

Legge 24.1.1985 n. 4. Disciplina proventi urbanizzativi.

 

5. Emilia-Romagna

 

Delibere Cons. Regionale 26.7.1978 n. 1706 e 6.12.1978 n. 1871. Disciplina dei proventi urbanizzativi.

 

6. Toscana

 

Delib. Cons. Reg.le 28.2.1989 n. 84. Disciplina dei proventi urbanizzativi.

 

7. Umbria

 

Decreto Presid. Giunta Regionale 24.12.1986 n. 719. Disciplina dei proventi urbanizzativi.

 

8. Marche

 

Legge 24.1.1992 n. 12. Disciplina dei proventi urbanizzativi con integrazione di contributi regionali.

 

9. Lazio

 

Legge 9.3.1990 n. 27. Disciplina i proventi urbanizzativi e dispone contributi regionali per restauro di edifici di culto monumentali.

 

10. Abruzzo

 

Legge 16.3.1988 n. 29. Disciplina dei proventi urbanizzativi e contributi regionali per l’edilizia di culto. Questa è «opera pubblica» di interesse regionale.

 

11. Molise

 

Leggi 21.1.1975 n. 10; 14.7.1979 n. 19; 27.1.1986 n. 4. L’edilizia di culto è «opera pubblica» di interesse regionale. Contributi in conto capitale e impegno di concorso pluriennale.

 

12. Campania

 

Legge 6.3.1990 n. 9. Disciplina dei contributi urbanizzativi.

 

13. Puglia

 

Legge 16.5.1985 n. 27 con clausola sospensiva. L’edilizia di culto è «opera pubblica» regionale. Disegno di legge per lo sblocco della legge n. 27/1985 e per la disciplina dei proventi urbanizzativi.

 

14. Basilicata

 

Legge 17.4.1987 n. 9. Disciplina dei proventi urbanizzativi.

 

15. Calabria

 

Legge 12.4.1990 n. 21. L’edilizia di culto è «opera pubblica» regionale. Dispone contributi regionali in c.c. e impegni pluriennali e prevede contributi comunali derivanti dai proventi urbanizzativi.

 

 

 

Dalla tabella risultano alcuni dati interessanti

 

  1. Tutte le regioni italiane dispongono ormai di norme giuridiche che disciplinano i rapporti degli enti territoriali con gli enti di culto. Nella sola Puglia una legge, peraltro ottima, rimane sospesa nella sua operatività.
  2. La prima norma regionale risale al 1978, è dell’Emilia-Romagna ed è legata all’applicazione della legge n. 10/1977. La cosiddetta legge «Bucalossi» sta alla radice delle legislazioni regionali.
  3. Con il trascorrere degli anni vengono perfezionati gli strumenti giuridici e si passa dalle deliberazioni di Consiglio o di Giunta a leggi vere e proprie.
  4. L’impatto della legge concordataria n. 222/1985 provoca un salto di qualità in alcune norme regionali: ai contributi comunali si aggiungono, integrativi o sostitutivi, quelli regionali. La dottrina dell’edilizia di culto come «opera pubblica» d’interesse locale, la concezione cioè che l’edificio di culto è un «bene» necessario per la convivenza urbana, diviene prevalente anche nelle leggi: è una materia di «competenza» della quale la Regione «deve» occuparsi.
  5. Le norme regionali sopra riportate non si limitano alla indicazione dei concorsi finanziari, ma tendono alla definizione di un corpus normativo di rapporti con gli enti religiosi (dotazione di aree con disciplina degli strumenti urbanistici, standard urbanistico delle «opere che definiscono l’edificio di culto, modalità di assegnazione ed erogazione dei contributi…)

 

 

 

 

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